Il 3 marzo 2012 diversi ragazzi della nostra comunità, provenienti da diversi gruppi parrocchiali, nonché Operatori Caritas, hanno preso parte alla Raccolta Alimentare, organizzata a livello nazionale contro la fame in Italia dal Banco delle Opere di Carità: raggruppatisi in quattro supermercati, hanno chiesto a numerose persone un contributo con l’acquisto degli alimenti più necessari, ad esempio olio e scatolame.
La bellezza di quest’esperienza è molto difficile da tradurre in poche righe: anzitutto, ci ha permesso d’approfondire la conoscenza reciproca, grazie allo stare insieme e all’allegria sempre presente; poi, mettendoci a contatto con tante persone, ci ha fatto sperimentare “sul campo” molteplici situazioni, non sempre semplici. Il confronto ci ha ricordato l’impegno all’ascolto, chiunque ci troviamo davanti e qualunque cosa dica e faccia; ci ha fatto chiudere la valvola del giudizio per aprire un po’ quella dell’amore che, anche quando non comprende né condivide, continua ad accettare e ad amare il prossimo così com’è.
Lavorare ad un progetto comune crea sempre unione, come avviene anche per un incontro di preghiera, un ritiro spirituale o un campo scuola: quest’esperienza però ha avuto un tratto particolare, la parola “carità”, che ci ha messi direttamente a confronto con la nostra realtà di cristiani e con quell’altra realtà dei “poveri”, che ha spesso più caratteri mitologici che umani.
Il povero è qualcuno che mi somiglia molto, ha i miei stessi tratti umani, parla come me, in qualunque lingua si esprima, e per lui palpita il cuore dello stesso Padre che palpita per me: il divario economico e sociale che ci separa formalmente non ci separa però a livello sostanziale. Di più: quel povero è lo stesso Maestro, e il mio lavoro è per il Maestro che si è fatto povero, che si è identificato con lui al punto da dire: <<Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me>> (Mt 25,40).
Nel suo operare concreto per i poveri del mondo, la Chiesa ha sempre davanti a sé questa consegna del Signore Gesù, l’ultimo discorso nel Vangelo di Matteo prima dell’inizio della Passione: conoscendo bene che il povero è sia colui che non ha alimenti e casa, sia colui che è povero nello spirito, la Chiesa non cessa d’asciugare le lacrime del suo Signore nel volto degli esseri umani trafitti dall’ingiustizia e dall’egoismo. Quest'impegno sta toccando particolarmente la nostra Diocesi tutta intera, grazie al biennio di riflessione sulla carità voluto dal nostro Arcivescovo, nonchè la nostra comunità parrocchiale con la meditazione e lo studio, all'interno dei vari gruppi, della lettera pastorale dell'Arcivescovo dal titolo "Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro".
Una simile realtà non può lasciare indifferente nessuno di noi: il povero mi ricorda “…qualcosa che somiglia alla parte migliore di me”, citando Francesco Renga; il povero cioè risveglia in me la mia responsabilità verso di lui, mette in discussione il mio essere cristiano, il mio seguire il Maestro. Questo cammino non si misura in chilometri, ma, potremmo dire, in “caritatometri”, sulla base della carità: permettiamo dunque, in questo tempo di Quaresima, che lo Spirito Santo risvegli in noi quella “parte migliore” che il Maestro ci chiama a custodire e nutrire, e che troppo spesso rimane a dormire, soffocata dai cuscini dell’egoismo e dell’indifferenza, nemici assai peggiori di tutte le sperequazioni economiche della storia.
Prendendo parte a questa iniziativa, anche noi abbiamo compreso quanta strada ci sia da percorrere, quanta circolazione d’amore da riattivare in attesa della Pasqua, per presentarci al Risorto con il viso lavato e senza sonno. L’altimetro ci indica che siamo nani rispetto alla Croce: lo sguardo sorridente del Maestro, come il genitore verso i bambini, ricorda che loro possono e devono crescere; non sprechiamo quest’occasione.
Matteo Santamaria